🗣 Ci dai una breve panoramica sul valore dell’Influencer Marketing in Italia oggi?
In termini di valore di mercato, i dati parlano di circa 300M€ nel 2022, con una crescita prevista nei prossimi anni che supererà il 10% anno su anno. I numeri in sé raccontano di un comparto in crescita costante e sono specchio di un trend che chiunque fa il nostro lavoro ha sicuramente notato: sempre più spesso il canale “influencer” viene richiesto dai brand per amplificare campagne di comunicazione. Il motivo è molto semplice: ci siamo accorti che funziona benissimo, specie in una logica all funnel. Se usati bene, infatti, gli influencer sono il miglior media: raggiungono pubblico in target con credibilità e creatività.
🗣 Se pensiamo alla figura del creator nelle attività di comunicazione dei brand, possiamo affermare che sia entrato nelle abitudini di pianificazione dei progetti di Influencer Marketing?
Come dicevo prima, gli influencer sono ormai un must have nelle campagne di comunicazione. Avere un creator influencer permette di ottenere un triplice scopo: comprare visibilità, fiducia dell’audience e creatività. Lavorare con un creator, infatti, aiuta a realizzare creatività che nessuna agenzia sarebbe in grado di produrre, con un linguaggio che risuona perfettamente nel target e che si avvantaggia di dinamiche di community clamorosamente efficaci, perché rodate nel tempo.
🗣 Quanto spazio viene lasciato al creator rispetto alle linee guida dell’azienda?
Dipende. Le aziende intelligenti sanno che quando comprano un contenuto da un creator ne comprano uno stile espressivo, e quindi lasciano piena libertà creativa. Le aziende miopi, invece, che considerano l’influencer un cartellone pubblicitario in carne e ossa e provano a imporre la propria creatività. In questi casi, il risultato è sempre un disastro.
🗣 Quali sono i principali elementi di complessità del mercato?
Fare influencer marketing significa gestire relazioni umane, prima che media budget: è questa la vera complessità che spesso viene sottovalutata. Capire chi è il creator, che necessità ha, a chi comunica e quali sono i suoi valori è fondamentale per il successo di una campagna. Tutto il resto è normale lavoro: selezionare il giusto talent, fornire un brief adeguato, supportare il creator in fase di campagna e misurare la performance sono task, non complessità.
🗣 Che ruolo ha il branded content in uno scenario in cui cresce l’importanza dell’entertainment?
Credo che i brand debbano intrattenere, prima che vendere. Gli utenti sono assuefatti al contenuto di intrattenimento e, purtroppo, in un contesto dove il discorso di Mattarella si gioca l’attenzione dell’utente con un video di gattini, l’unica via è alzare la voce e provare a intrattenere più e meglio degli altri. Insomma, questa fruizione totalizzante del media crea un sacco di rumore e, per emergere, bisogna fare ancor più rumore. Un circolo vizioso da cui sarà difficile uscire, se non cambieranno le abitudini delle persone.
🗣 A tuo parere, qual è il futuro della comunicazione video?
Io credo che inizi a sentirsi forte l’esigenza di un ritorno all’autorevolezza della fonte. Mi spiego: un tempo la gente andava in chiesa, credeva nella politica, guardava la tv; momenti diversi in cui però era ben chiaro quale fosse la fonte autorevole. Ora questa autorevolezza si è persa totalmente e, finita la sbornia da social network in cui abbiamo toccato con mano quanto fosse bello e democratico che zia Peppina potesse dire la sua sui vaccini, qualcuno si è reso conto che forse è necessario tornare indietro. Non è un discorso retrogrado da “che schifo la società moderna, i giovani ecc”, anzi: i dati raccontano di utenti sempre più esigenti, interessati non solo al mordi e fuggi, allo scroll infinito, alla fruizione da encefalogramma piatto, ma anche al contenuto lungo e di approfondimento. Fenomeni come Mr. Beast parlano di un approccio cinematografico a YouTube: bene, la mia previsione (e speranza) è che la qualità e l’autorevolezza vadano a permeare la comunicazione video in tutti i settori. Sicuramente questa cosa sta succedendo per l’intrattenimento: mi auguro che possa accadere anche per l’informazione. La vera sfida sarà ripensare i modelli di monetizzazione in questi comparti, in risposta a queste nuove dinamiche, magari anche anticipando la domanda: laddove l’utente si aspetta spazzatura, si può provare a proporre contenuto di qualità? Una sorta di investimento per il futuro che, a parer mio, può pagare.